Test genetico del Microbiota

Come la prendereste se vi dicessero che nel nostro corpo risiede un organo che non è presente in alcun libro di anatomia umana? Oltre ad avere un suo peso specifico, svolge un ruolo indispensabile per garantire lo stato di salute dell’organismo, assolvendo a funzioni di carattere digestivo ed immunitario, oltre ad essere impegnato nella sintesi di alcune vitamine.
Stiamo parlando del microbiota: l’insieme di microrganismi che popolano i vari distretti del nostro corpo, a partire dalle vie aeree superiori (naso, bocca), fino a giungere all’intestino e agli organi genitali (da non confondere con il microbioma: totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota). Comprende non solo i batteri, ma anche virus e funghi. Oggi la scienza è così attenta agli sviluppi di ricerca sul microbiota che ogni specialità medica sta ponendo attenzione alle interazioni tra batteri e la specifica disciplina interessata. Una cosa è certa, le pubblicazioni scientifiche crescono in maniera esponenziale, segno di grandissimo interesse e di un crescente utilizzo in vari ambiti della salute.

La regione gastro-intestinale è senza dubbio l’area dell’organismo maggiormente colonizzata da questi microrganismi.

La vagina è invece la seconda, per quantità e varietà di microbi. Tendenzialmente il microbiota è caratterizzato da un peso che varia tra 1 e 2 Kg, e solo un terzo di questo è lo stesso in ogni persona, mentre la restante quota è influenzata dalle differenze interindividuali di stile di vita, alimentazione, età, etnia. Approfondendo le funzionalità svolte da queste popolazioni microbiche, si può comprendere facilmente la loro rilevanza nel determinare lo stato di salute della persona. I lattobacilli e i bifidobatteri sono le specie a carattere fermentativo: i polisaccaridi di origine vegetale che non possono essere digeriti dall’organismo (fibra alimentare), vengono sottoposti a processi di fermentazione da cui deriva la produzione non solo di gas intestinale, ma anche di acidi grassi a catena corta (SCFA). Queste molecole sono l’acido butirrico, propionico ed acetico. L’acido acetico, o acetato, è il più abbondante tra tutti e regola i sistemi metabolici dei lipidi e del colesterolo. L’acido butirrico, o butirrato, svolge una funzione trofica per i colonociti (popolazione cellulare intestinale), e stimola i processi di apoptosi delle cellule cancerose (indirizzando una cellula che ha subito modificazioni neoplastiche verso un processo di “morte programmata”). Inoltre, la sintesi di acido butirrico garantisce un buon livello di ossigenazione dell’ambiente intestinale, così da prevenire condizioni di disbiosi, ovvero un’alterazione del rapporto tra microrganismi benefici e dannosi.

L’acido propionico, o propionato, raggiunge invece il fegato e regola la gluconeogenesi, cioè l’insieme di reazioni chimiche che portano alla sintesi di glucosio a partire da precursori non glucidici. La presenza di colonie microbiche sulla superficie intestinale costituisce anche una vera e propria arma del sistema immunitario, in quanto i microrganismi presenti determinano la formazione di una barriera protettiva che ostacola l’adesione da parte dei patogeni. La flora batterica è anche impegnata nella sintesi di alcuni micronutrienti, come la vitamina K, che riveste un ruolo centrale nei processi di coagulazione ematica, e la vitamina B12, coinvolta nel metabolismo di amminoacidi, acidi grassi e acidi nucleici. Una popolazione intestinale di microrganismi in equilibrio garantisce anche una buona funzionalità del sistema nervoso enterico, il quale dialoga direttamente con il sistema nervoso centrale. Per tale ragione, l’intestino è considerato il “secondo cervello” umano.

Le diverse popolazioni batteriche iniziano la colonizzazione dell’organismo a partire dalla nascita, ovvero quando il neonato passa attraverso il canale vaginale. La sua composizione è soggetta ad una variazione consistente nei primi 4 anni di vita. È possibile, in particolare, identificare la progressione di 3 momenti distinti: fase di sviluppo (3-14 mesi); fase di transizione (15-30 mesi) e fase stabile (31-46 mesi). La nascita vaginale comporta una prevalenza della specie Bacteroides, popolazione microbica che si nutre di glicani, zuccheri complessi introdotti con l’alimentazione che vengono trasformati in carboidrati semplici e in molecole antimicrobiche a funzione immunitaria. L’allattamento determina, invece, una maggior proliferazione dei Bifidobatteri (specialmente B.bifidum, B. breve, B.dentium), oltre a Lactobacius rhamnosus e Staphylococcus epidermidis. È stata rilevata la presenza di Bifidobacterium spp e Lactobacillus spp nel latte materno, mentre a livello del capezzolo è stato identificato lo Staphylococcus spp, ad indicare proprio che il fenomeno dell’allattamento sia fondamentale per lo sviluppo di un microbiota in equilibrio. Nei bambini nutriti con latte artificiale predomina, invece, la conta di E.Coli, Clostridium difficile e Bacteroides fragilis. Con lo svezzamento iniziano a svilupparsi i Firmicutes, che si procurano nutrimento principalmente dagli zuccheri e dai grassi introdotti con la dieta. Anche la crescita in presenza di fratelli o animali domestici è un aspetto che incide sul livello di maturazione delle popolazioni microbiche. Nel caso di parti cesarei, altri batteri costituiscono la base del microbiota del neonato, con una riduzione sostanziale dei bifidobatteri.

Nel corso della vita, il microbiota può subire variazioni in base agli stimoli ricevuti dall’ambiente esterno. La dieta è, senza dubbio, uno dei fattori maggiormente coinvolti nella determinazione della sua composizione. Il mancato equilibrio tra le varie colonie batteriche viene definito disbiosi. Quando questa condizione si verifica, viene inficiato lo stato di benessere della persona. L’alterazione dell’eubiosi (equilibrio della flora batterica) può venir meno se si configura almeno una delle seguenti condizioni: prevalenza di specie patogene; diminuzione dei batteri commensali (microrganismi che traggono benefici dall’interazione col corpo umano e a loro volta svolgono un’azione positiva per le funzioni dell’organismo); riduzione della varietà di specie batteriche presenti. Se la dieta è caratterizzata da un’abbondanza di zuccheri raffinati e lavorati, associati anche a lunghe terapie antibiotiche, si instaura un tipo di disbiosi definita “carenziale”. Nel caso in cui vengano introdotti alimenti proteici in una quantità eccessivamente maggiore rispetto alla quella richiesta dall’organismo, la flora batterica subisce delle modificazioni che determinano una disbiosi putrefattiva. In quella “da sensibilizzazione”, il sistema immunitario associato all’apparato gastrointestinale, determina una produzione massiva di anticorpi IgA, responsabile di innescare una costante infiammazione enterica; mentre nella disbiosi fungina, all’abbondanza di zuccheri raffinati si associa anche una quota abbondante di alimenti lievitati. Chiari sintomi della presenza di un’alterazione dell’equilibrio del microbiota intestinale sono la difficolta nella digestione, nausea, meteorismo e disturbi dell’alvo, sia nei termini di frequenza (stitichezza o più scariche giornaliere) che di consistenza delle feci.

L’impatto della flora batterica che si registra sull’organismo umano è davvero notevole. Fortunatamente oggi, grazie alla genetica, siamo in grado di esplorare questo microcosmo e di identificare le varie popolazioni che caratterizzano il microbiota di ciascuno di noi. Il vantaggio è quello di poter adattare una strategia dietetica e, dove necessario di integrazione, mirata per la risoluzione dello stato di disbiosi rilevato, così da portare giovamento al nostro stato di salute in breve tempo e in maniera efficace.

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