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Lo Shilajit è un misterioso e prezioso composto resinoso rinvenuto fra le vette dell’Himalaya, ed è conosciuto da secoli nella cultura Ayurveda e nella medicina tibetana. Si conosce anche con altri nomi come il “tesoro della vita” o “resina della vita”, e sta suscitando molto scalpore ed interesse per le sue proprietà curative e potenzialmente rivoluzionarie.


Esistono quattro diverse varietà di Shilajit che si distinguono in base alla differente colorazione: Savrana shilajit, di colore rosso e oro, Tmara shilajit di rame, colore blu, Rajat shilajit, argenteo, e il più comune che contiene ferro è lo Lauha shilajit, di colore bruno-nero.

Rispetto al Lauha, che si può ritrovare nelle cime dell’Himalaya, le altre varietà si trovano con maggiori difficoltà.

Diversi scienziati sono arrivati alla conclusione che questa particolare resina, dalla consistenza appiccicosa, origini da un trasudato roccioso e che sia completamente di origine vegetativa.

È stato documentato che la formazione dello shilajit si può osservare nei mesi di maggio e giugno, quando il caldo intenso porta al rilascio dell’essudato dalle rocce.

Le prime valutazioni sulla composizione hanno appurato che è composto principalmente da elementi del suolo ed altri composti organici.


Lo shilajit è caratterizzato da una complessa miscela di minerali, acidi fulvici, acidi umici e composti bioattivi, ai quali si attribuiscono benefici per la salute umana.

La principale funzione fisiologica è stata attribuita ai benzo α-pironi, insieme agli acidi umici e fulvici, che svolgono un ruolo di molecole trasportatrici. Inoltre l’acido fulvico è noto per le sue forti azioni antiossidanti, effetti sistemici come attivatore del complemento e potenziatore della memoria.

La composizione esatta può comunque subire delle variazioni, in quanto risente di diversi fattori come: varietà vegetali che vengono incorporate nella sua massa; qualità del suolo; natura della roccia; temperature; altitudine.

La resina nei suoi processi di formazione può subire delle contaminazioni, ioni di metalli pesanti, micotossine, chinoni polimerici, risulta quindi fondamentale prestare attenzione ai processi di estrazione e di purificazione delle sue componenti.


Nella medicina tradizionale lo shilajit viene utilizzato da secoli per il trattamento di diverse condizioni, come:

– Disturbi digestivi;

– Anemia;

– Bronchite cronica;

– Disturbi nervosi ed epilessia;

– Trattamento disturbi genito-urinari;

– Somministrato insieme al latte, viene utilizzato per il trattamento del diabete;

– In aggiunta al guggul, per il trattamento delle fratture, in quanto si ritiene possa formare un callo

– Trattamento calcoli renali

– Si ritiene possa essere anche un eccipiente per altri farmaci (yogavaha).


Studi condotti su modelli animali:

Azione protettiva in caso di ulcera gastrica, in quanto lo Shilajit essendo ricco in polifenoli diminuisce la secrezione della gastrina, e promuove la riparazione e proliferazione cellulare, e anche la produzione di mucina. Rispetto al controllo è stata osservata una diminuzione delle ulcere gastrite, indotte con l’uso di asprina, a seguito del trattamento con estratti di shilajit con una concentrazione di 600mg/kg pc. (Ghasemkhani et al., 2020);

Riduzione della progressione della steatosi epatica, con aumento dei livelli di SOD e diminuzione di malonildialdeide e glutatione perossidasi. Gli estratti di Shilajit avevano due diverse concentrazioni, 150mg/kg e 250mg/kg. (Ghezelbash et al., 2020);

– In combinazione con trattamento chemioterapico, lo Shilajit permette una diminuzione di danni epatici e renali causati da metastasi di epatocarcinoma. Gli effetti maggiori sono stati osservati con la somministrazione contemporanea alla chemioterapia, di estratti di Shilajit con una concentrazione di 250mg/kg (Jambi et al., 2022);

– Valutazione dell’integrazione di Shilajit sul trattamento dell’infertilità maschile, indotta su modelli animali tramite esposizione a sostanze chimiche. Il trattamento con Shilajit ha comportato un aumento degli organi riproduttivi, la produzione giornaliera di sperma e l’aumento sierico di testosterone. La valutazione istologica ha rilevato che lo Shilajit ha ripristinato la spermatogenesi, grazie all’aumento delle cellule germinali, inoltre il trattamento ha annullato gli effetti avversi del cadmio sulla motilità e sulla concentrazione degli spermatozoi (Mishra et al., 2018)


Shilajit ed Alzheimer:

Uno dei possibili campi d’applicazione dello Shilajit, forse tra i più promettenti, è la malattia di Alzheimer, in quanto sono stati indagati gli effetti dell’acido fulvico sull’aggregazione delle proteine TAU.

Uno dei primi studi che ha aperto le porte all’uso dello shilajit in campo neurologico, è stato condotto in vitro sulle proteine Tau che venivano indotte chimicamente ad aggregarsi (Cornejo et al., 2011).

Sono stati scelti i frammenti di proteina Tau che comprendevano il dominio 4RMBD, e successivamente sono stati incubati con l’acido fulvico, concentrato a 120 µM. L’incubazione con l’acido fulvico ha comportato una diminuzione della formazione dell’85% degli aggregati. Inoltre è stato osservato che l’acido fulvico agiva anche promuovendo la disgregazione degli aggregati già formati di proteina Tau. Nel 2012 un trial clinico ha valutato il potenziale ruolo terapeutico di una formulazione con estratto di shilajit e vitamine B, ed è stata proposta una formulazione contenente 200mg/capsula di shilajit, 14.5 mg di B6, 200µg di B 9 e 3µg di B 12.

La sicurezza di questa formulazione è stata prima testata su modelli murini, in cui si è osservata una riparazione delle cellule neuronali.

Lo studio pilota è stato poi condotto su pazienti con sospetta diagnosi di Alzheimer. Rispetto al gruppo di controllo, il gruppo di studio ha assunto per 6 mesi due capsule da 300mg con la formulazione, e sono stati osservati diversi miglioramenti rispetto il placebo, soprattutto in termini di aumento delle energie e di prestazioni della memoria.


Effetti osservati a seguito dell’assunzione di 2 capsule al giorno di 300mg della formulazione con 200mg di Shilajit e vitamina B6-B9-B12.


Basandosi su questo primo studio che ha verificato anche la sicurezza della formulazione, è stato formulato e testato il nutraceutico Brain-Up 10.

Lo studio condotto in doppio cieco, comprendeva pazienti con diagnosi accertata di Alzheimer, ed aveva lo scopo di valutare l’azione del Brain up 10 sull’apatia, sui sintomi cognitivi e neuropsichiatrici.

Alla fine delle 24 settimane di trattamento sono stati osservati dei miglioramenti per quanto riguarda l’apatia e il deterioramento cognitivo, valutati tramite il MMSE, ma non sono stati riscontrati cambiamenti significativi per quanto riguarda i marker biochimici, probabilmente questo potrebbe essere imputato al breve periodo di follow-up.


Shilajit e forza muscolare:

L’integrazione dello Shilajit agisce anche sulla diminuzione del senso di affaticamento muscolare e sui livelli plasmatici dell’idrossiprolina, che risultano indicativi della degradazione del collagene.

Lo studio che ha permesso di mettere in luce questi benefici, è stato svolto su un campione di pazienti, diviso in tre gruppi, due sottoposti a diverso dosaggio di Shilajit (250mg/d e 500mg/d), ed il terzo con un placebo.

I soggetti hanno assunto per 8 settimane gli integratori di PrimaVie® Shilajit, una formula purificata e standardizzata di Shilajit contenente: >50% di acido fulvico, e dal 10% di DBP (dibenzo α pironi) e DBP coniugato con cromoproteine.

Prima di testare il PrimaVie sui volontari, sono stati condotti studi su modelli animali, che hanno mostrato un aumento della produzione di ATP a livello mitocondriale.

Al termine delle 8 settimane di integrazione i volontari che hanno assunto il PrimaVie con una concentrazione di Shilajit a 500mg/d, mostravano il mantenimento della forza muscolare dopo il protocollo di affaticamento, inoltre rispetto al controllo, i livelli di idrossiprolina plasmatica erano inferiore del 29%, evidenziando un adattamento favorevole del tessuto muscolare e connettivo. Essendo questo uno dei primi studi condotti sull’uomo in tale ambito, sono consigliate ulteriori ricerche

Shilajit e testosterone:

Dalla ricerca è emerso uno studio che ha testato gli effetti dello Shilajit sui livelli di testosterone in soggetti sani.

Il trial ha selezionato pazienti tra i 45-55 anni, ed è stato condotto in doppio cieco per 90 giorni, durante i quali ai pazienti venivano somministrate due capsule al giorno da 250mg di Shilajit.

La valutazione dei livelli plasmatici ha mostrato un aumento di testosterone totale, testosterone libero e deidroepiandrosterone (DHEAS) rispetto al placebo.


Nonostante le ricerche riportino evidenze sull’utilizzo dello Shilajit, questo rimane circondato da un alone di mistero e da una serie di controversie.

Ci sono ancora molte domande senza risposta sulla sua composizione e sui meccanismi d’azione, inoltre la raccolta dello Shilajit è un processo complesso e sensibile che solleva anche delle preoccupazioni legate alla sostenibilità ambientale, all’autenticità e purezza del composto.

Ciononostante lo Shilajit continua ad intrigare ed affascinare gli scienziati e gli appassionati di salute naturale, aprendo la strada a nuovi studi e possibili campi di applicazione, ovviamente la ricerca deve ancora continuare per poter fare chiarezza sui reali benefici di questo misterioso composto.

by Rolando Alessio Bolognino

Biologo Nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva. Professore a c. Master in Scienze della Nutrizione e Dietetica Clinica presso l’Università degli Studi di Roma “Unitelma La Sapienza“. Professore a c. Master in “Terapie Integrate nelle Patologie Oncologiche Femminili“ presso l’universita Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Professore a c. Master di II livello in “Medicina integrata e food management per la prevenzione e cura dei tumori“ presso l’Università degli Studi di Catania. Istruttore Protocolli Mindfulness.


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