
Il microbioma rappresenta l’insieme di batteri, virus e funghi che colonizzano i diversi distretti corporei del nostro organismo. La popolazione batterica di ogni distretto prende il nome di microbiota e, fra tutti, il tratto gastrointestinale è quello maggiormente popolato: si stima che il colon, da solo, contenga oltre il 70% dei microbi del corpo umano.
La flora batterica svolge molteplici funzioni: regola l’assorbimento degli ormoni steroidei e degli acidi biliari; favorisce i processi di digestione, assorbimento e peristalsi; regola il pH intestinale; promuove le difese immunitarie; contribuisce al metabolismo di alimenti e farmaci; partecipa alla sintesi di vitamine (come le vitamine K e B12) e di acidi grassi a catena corta.
Questi ultimi, in particolare, sono coinvolti nella regolazione della motilità intestinale, dell’infiammazione e nei processi di omeostasi glucidica ed energetica.
Talvolta si può assistere ad un’alterazione della struttura del microbiota, di tipo qualitativo e/o quantitativo, in grado di generare uno stato infiammatorio cronico di basso grado.
Tale condizione costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di numerose patologie, non esclusivamente a carico intestinale, ma anche a livello dell’apparato uro-genitale e cutaneo.

Persino alcune malattie neurodegenerative, disturbi neurologici e psichiatrici, come i disordini dello spettro autistico o la depressione, sono ascrivibili allo stato di salute del proprio microbiota.
La dieta, l’ambiente, la genetica dell’ospite e l’esposizione microbica al momento della nascita (dunque la tipologia di parto), sono fattori sicuramente implicati nella determinazione della composizione del microbiota.
Studi scientifici testimoniano che la dieta mediterranea può apportare benefici alla flora batterica intestinale.
Tale regime dietetico si ispira ai modelli alimentari dei paesi affacciati sul bacino del Mar Mediterraneo. Ancel Keys fu il primo a studiarne i benefici e a renderla celebre a livello mondiale, dimostrandone le proprietà antiossidanti e l’effetto di prevenzione verso le malattie metaboliche e cronico-degenerative.
Dopo di lui, sono state numerose le ricerche scientifiche che hanno individuato e confermato l’associazione positiva tra modello mediterraneo e salute.
In particolare, è la ricerca pubblicata dal British Medical Journal a dimostrare che l’aderenza a questo stile dietetico favorisce la diminuzione dell’indice infiammatorio, misurabile dalla riduzione del dosaggio di proteina C-reattiva e interleuchina-17.
Livelli elevati di tali mediatori chimici risultano elevati in soggetti con tumori, diabete e aterosclerosi.
Inoltre, è stata osservata un’associazione significativa tra una maggiore aderenza al regime mediterraneo e una riduzione del tasso di perdita di densità ossea, insieme al miglioramento della risposta immunitaria innata, della pressione sanguigna e della rigidità arteriosa.
Più in dettaglio, lo studio ha dimostrato in primo luogo come l’applicazione di uno stile mediterraneo comporti un aumento di specie batteriche associate positivamente alla produzione di acidi grassi a catena corta.

Questi ultimi, identificabili con l’acetato, il propionato e il butirrato, sono coinvolti nel mantenimento dell’integrità della barriera intestinale, stimolando le cellule mucipare a produrre muco.
Un altro effetto positivo si registra a carico del sistema immunitario, testimoniato dall’aumento dei processi di differenziazione e attivazione di macrofagi, neutrofili e cellule T.
Nella regolazione del bilancio energetico, gli acidi grassi a catena corta promuovono la secrezione di ormoni come la leptina, prodotta da parte del tessuto adiposo, implicata nella regolazione dei meccanismi di fame e sazietà.
Ad una maggior aderenza a tale regime alimentare si associa anche una riduzione di microrganismi patobionti, responsabili sia della produzione di etanolo e p-cresolo (metaboliti dannosi poiché potenzialmente cancerogeni ad elevate dosi), sia di acidi biliari secondari.
Questi ultimi presentano effetti nocivi per la salute, poiché sono correlati ad un maggior rischio di tumore al colon, insulino-resistenza, steatosi epatica non alcolica e danno cellulare.
Pertanto, la dieta mediterranea si attesta come valida alleata del benessere intestinale, poiché la sua adozione permette una modulazione positiva della composizione del nostro microbiota.
Come riportato nel mio libro “Nutrire la salute con la dieta mediterranea”, è necessario considerare che al giorno d’oggi l’applicazione di questo modello dietetico presenta alcune criticità, legate ai processi di industrializzazione, raffinazione e globalizzazione delle materie prime.
La stagionalità dei prodotti viene sempre meno rispettata in seguito alla larga diffusione delle produzioni in serra, che prevedono un impiego massivo di concimi, conservanti e pesticidi; i sapori originari dei cibi sono stati modificati dall’uso di additivi, conservanti ed esalatori del gusto; l’introduzione di allevamenti intensivi ha determinato un peggioramento qualitativo delle carni, in quanto gli animali risentono di una dieta meno variegata e la loro muscolatura è meno sviluppata, avendo meno spazio a disposizione per muoversi.
I cereali rappresentano forse la materia prima che più risente del processo di “modernizzazione” della dieta mediterranea.
Grani antichi e moderni presentano profonde differenze: i primi (Senatore Cappelli, il grano Verna, il monococco, il farro) non hanno origini millenarie, ma sono semplicemente più antichi delle moderne elaborazioni dell’ingegneria genetica; i secondi (i più noti sono il Creso e il Monsanto) derivano dall’ ibridazione tra più grani, la cui mutazione è spesso indotta dal trattamento con raggi gamma.
Nella nostra dispensa dovrebbero prevalere i grani antichi, più sani e genuini: non subiscono il processo di macinazione in pietra, garantendo dunque una maggior proprietà nutrizionale del chicco, e non sono lavorati a livello intensivo.
Non dimentichiamo poi il loro valore storico e culturale, ed anche il fatto che questi grani presentano una filiera corta, indice di sicurezza maggiore per il consumatore in quanto la tracciabilità risulta più semplice.
Al contrario, i grani moderni sono OGM, e, essendo macinati a rullo, presentano una perdita degli elementi per via delle elevate temperature e per il grado di molitura a cui sono sottoposti. Inoltre sono ricchissimi in glutine, poveri di vitamine e sali minerali e mostrano impossibilità di tracciabilità per il consumatore finale.
Pertanto, scegliere i grani antichi, è sempre tutela di un ottimo prodotto.
Per cercare di ovviare a tali limiti è possibile attuare delle semplici azioni nel momento in cui si fa la spesa, che possono essere riassunti in alcuni punti chiave: è sempre bene privilegiare frutta e verdura a km 0, rispettando la stagionalità dei prodotti, in modo da consumare un cibo più saporito, più economico e con meno fitofarmaci; scegliere carni, uova e formaggi che derivano da animali provenienti da allevamenti non intensivi; prediligere i grani antichi a discapito di quelli moderni, scegliendo le farine integrali ed evitando quelle raffinate; non acquistare il pesce di allevamento, ma il pescato, rispettandone la stagionalità e preferendo pesce azzurro e di piccola taglia.
by Rolando Alessio Bolognino
Biologo Nutrizionista in campo oncologico e di prevenzione, esperto in alimentazione sportiva. Professore a c. Master in Scienze della Nutrizione e Dietetica Clinica presso l’Università degli Studi di Roma “Unitelma La Sapienza“. Professore a c. Master in “Terapie Integrate nelle Patologie Oncologiche Femminili“ presso l’universita Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Professore a c. Master di II livello in “Medicina integrata e food management per la prevenzione e cura dei tumori“ presso l’Università degli Studi di Catania. Istruttore Protocolli Mindfulness.